Craig Davison’s Star Wars Paintings

Siamo stati via per un po’.

Vorremmo dirvi dove siamo andati e cosa abbiamo fatto, ma siamo in pieno risparmio di energie prenatalizio e non abbiamo proprio voglia di inventarci stronzate. Però possiamo dirvi cosa abbiamo visto, abbiamo visto Star Wars ep. VII.

Volevamo fare un post di critica, una recensione ricca di spoiler, per fortuna poi siamo incappati in questo incredibile lavoro di Craig Davison e abbiamo deciso di proporvelo.

Operazione Nostalgia ALERT.

Chi dice di non amare Star Wars rientra, a nostro modesto avviso in due categorie: quelli che non l’hanno mai visto per davvero, e quelli senza cuore che dicono di non averlo visto perchè è figo. Se i primi possiamo, in qualche modo, anche scusarli e cercare di rimetterli sulla retta via, per i secondi non c’è salvezza. Siete dei poser del cazzo, alla stregua degli hipster, dei vegani e dei vegani-hipster.

Quelli di voi che invece hanno visto e amato Guerre Stellari, verseranno una lacrima su queste illustrazioni fatte di calzoncini corti, ginocchia sbucciate e pistole laser fatte col lego. Insomma, chi di voi, a 8 anni, non ha passato le nottate estive in spiaggia a roteare una torcia come se fosse una fottutissima spada laser, non ha davvero vissuto.

E allora tiratevi su bene i calzini di spugna, mettetevi una pentola in testa per deflettere i laser e godetevi questi Star Wars Paintings.

 

 

Roller Derby tough girls

Ci sono certe cose delle quali ignori l’esistenza per anni.
Poi, come se fossero il fatto più naturale del mondo, tutti iniziano a parlarne con naturalezza, come se niente fosse. Così, per non sentirti appena uscito da una cazzo di caverna, ti scrolli via la terra di dosso, togli la pelle di leopardo, e con tutta la nonchalance che riesci a mettere insieme inizi a parlare disinvolto di neutrini, sospensione d’incredulità e yuccies.

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Ecco, a quanto pare nelle ultime due settimane tutto il mondo del web, o almeno tutto quello che frequento abitualmente io, parla con disinvoltura di Roller Derby.

Trovi un sacco di link Facebook a proposito, scopri che qualche amica ha iniziato a cimentarcisi e che Juxtapoz.com rilascia un pezzo sul lavoro di Riikka Hyvönen “Roller Derby Kisses”: una serie di fighissimi dipinti che ritraggono enormi lividi ed echimosi su chiappe e cosce femminili (vedi copertina).

Tutto splendido, ma ancora non sai cosa cazzo è il Roller Derby.
Puoi solo fare delle supposizioni: c’è la parola Roller quindi ci sarà gente sui pattini. C’entrano degli enormi lividi viola sulle chiappe, quindi deve essere più simile al Rollerball che al campionato super-senior di golf.
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Quindi, giusto per non rientrare in quella storia della caverna, della pelle di leopardo e dell’ignoranza, decidi di fare un po’ di ricerca, e ancora una volta Google e Wikipedia ti vengono in aiuto: scopri come funziona questo sport sempre meno di nicchia e che le squadre italiane, quasi tutte femminili, sembrano essere circoli di ragazze super toste con loghi aggressivi e coloratissimi.

Quindi (c’è sempre un quindi a questo punto): di seguito trovate due righe che riassumono quanto ho capito di quello che sembra uno sport super figo, e alcuni dei loghi più cazzuti del circuito delle ragazze di Roller Derby italiano.

Roller Derby:
Se avete sotto mano due tette, una pista di pattinaggio circolare, quattro amiche disposte a riempirsi di lividi e un po’ di nostalgia per i pattini a rotelle classici (quelli con le quattro ruote non in linea per intenderci) siete pronte per il Roller Derby.

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She Wolves

The Furby et Orbi Anathema

Se avete quasi trent’anni e avete passato un’infanzia mediamente felice, di quelle fatte di Bull-Boys con le lucine, Lelly-Kelly che suonano ad ogni passo e Calciocard Panini (che nella stagione 97/98 sembravano la vera rivoluzione in materia di figurine collezionabili a tema calcistico) allora di certo avete avuto, o almeno avete desiderato ardentemente di avere, un Furby.

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Quando si dice Flash Dance…

Dolce, tenera e pelosa piccola canaglia; Furby era davvero l’amico di ogni bambino. O almeno, l’amico di ogni bambino il cui padre gestisse un traffico illegale di armi con qualche ricco dittatore centrafricano. Furby infatti, negli anni 90, costava come la mastoplastica additiva di Pamela Anderson. Un po’ per questo motivo, un po’ perché ai miei genitori non piaceva l’idea di pagare per farmi avere degli amici fatti di pelo posticcio, chi vi scrive non ha mai avuto un piccolo Gremlin coccoloso sul comodino quando era piccolo.

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Vabbè, la premessa con tanto di trauma infantile l’abbiamo fatta. La verità è che sono passati gli anni, i Furby non erano più le uniche cosine pelose ad interessare me e i miei amici, e ce ne siamo tutti dimenticati, trasportati da un vortice di ormoni, e brufoli e ascelle sempre pezzate da far schifo.

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Poi la svolta: cominci a lavorare, ti annoi e azzeri il tuo QI guardando compilation di video fail su Youtube. Così, quasi per caso, ti imbatti nella scoperta che segna un nuovo inizio nella tua vita di dodicenne troppo cresciuto.

Furby è tornato, e a quanto pare è incazzato nero.

No davvero, questi piccoli stronzetti hanno fatto passi da gigante e sembrano dei cyber-ratti scappati dal laboratorio di qualche film distopico degli anni 80’. Hanno dei colori agghiaccianti, manti leopardati fuscia e piccoli occhi lcd che ti spiano nella notte. A quanto pare, il cervello di questi bastardelli è stato sostituito con un chip militare come in Small Soldiers, e ora possono sviluppare personalità ben distinte a secondo di come li trattate.

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Furby incazzato perchè qualche collezionista ha deciso di lasciarlo nella sua confezione originale.

Cito dal sito http://furbymagicword.blogspot.co.uk

La personalità del furby determina gli occhi e il comportamento che infatti può variare a seconda di come lo trattiamo.Di seguito vi scrivo le personalità del furby e come ottenerle.
Il Furby Classico: esso lo troviamo all’inizio e si comporta normalmente, senza nessuna ‘specialità’.
Il Furby Chiacchierone: esso sarà sociale e dirà parole italiane e in in furbish; in italiano è più frequento a dire: ”perbacco!” ”mh..ok!” ”si!” ”ma davvero?!” e si ottiene parlando con lui e facendogli ascoltare molta musica.
Il Furby Sdolcinato: sarà dolce, ma poco socievole. Farà sempre le fusa (se così si scrive) e si ottiene toccando il ciuffetto che il furby ha, oppure faccendogli le coccole e accarezzandolo per molto tempo.
Il Furby Pazzoide: esso è divertente, dirà cosa senza senso e neanche una in italiano apparte: ”sono simpatico, ahhahaha”. Veramente sociale e si ottiene tirandogli la coda per abbastanza volte.
Il Furby Festaiolo: nei suoi occhi apparirano frequentemente palle da discoteca e cose varie..e  si ottiene facendo ascoltare al furby solo musica.
Il Furby Cattivo / Gremlin: cattivo e arrogante, sarà un pessimo furby! Per ottenerlo si deve dare da mangiare al furby molto frequentemente..fino a farlo stare male! (attraverso l’app).

Ora, già il fatto che esista un furbymagicword.vattelapesca.com è abbastanza agghiacciante di suo. Il fatto poi che “…tirandogli la coda per abbastanza volte” si possa dar vita a un Furby pazzoide, spaventa.

Ma mai come il Furby Cattivo che rutta e scoreggia come in un cinepanettone e si ottiene rimpinzandolo di cibo dall’app (è il 2015 cazzo, dovevate aspettarvelo che Furby avesse un’app).

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Quindi, visto che qualcuno avrà letto fino a qui, è giusto che ora abbiate il vostro video di un Furby Ted Bundy. Le voci vogliono che i protagonisti umani siano stati assassinati nella notte dopo aver caricato il clip su internet, e che il piccolo assassino ora indossi la loro pelle in pubblico per non insospettire nessuno dei vicini.

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Non smentisco e non confermo, questi stronzetti sono furby.

Call me Brand

Premettiamo che è una cosa che ci fa imbestialire, anche se in alcuni casi lo facciamo anche noi. Di cosa parliamo? Della brutta abitudine di riferirsi a oggetti comuni con il nome proprio di un prodotto o di un brand.
La premessa è breve perché il post sarà lungo e non ci saranno gif di pappagallini a gratificarvi, alla fine.

Quindi cominciamo con una selezione di 10 nomi comuni che in realtà sono marchi registrati.

Scotch
Per quelli di voi che, come Calboni, amano i distillati di cereali, forse la parola Scotch è prima di tutto sinonimo di ottimo whisky scozzese.
Per tutti noi cresciuti con Dodò e Giovanni Muciaccia, invece, lo scotch è il nastro adesivo: quello trasparente, quello da pacchi, quello di carta… Tutto scotch, no?

NO. Scotch è un marchio registrato. È il nome commerciale del nastro adesivo inventato e commercializzato dalla 3M.

Wikipedia, sempre sia lodata, ci dice:

L’inventore fu lo statunitense Richard Drew, ricercatore della 3M, che lo creò nel 1925 e lo mise in commercio nel 1930. In Europa giunse solo nel 1937. Il nastro adesivo era fatto con colla da falegname e glicerina. Sembra però che la 3M, per risparmiare, usasse poca colla e che perciò qualcuno la accusò di essere “scozzese” (in riferimento alla stereotipata tirchieria degli scozzesi), da qui l’origine “scotch”.

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Jeep
Una volta per tutte, se il vostro papà ha preso una Nissan Patrol, una Land Rover Defender, una Mitsubishi Pajero, una Suzuki Vitara o una Toyota Hilux, ha comprato un fuoristrada, non una fottuta Jeep. Non è difficile.
Come si evince dalle righe precedenti, tutte le macchine sopracitate hanno già i loro bei nomi e cognomi, non c’è bisogno di tirare in mezzo i ragazzi ammeregani di Jeep.

Certo le prime auto fuoristrada che i vostri nonni hanno visto, durante la seconda guerra mondiale, forse erano delle auto dell’esercito USA, e certo quelle Willys sono state il fuoristrada per antonomasia in mezzo mondo, ma percaritàdiddio smettete di puntare il dito contro ogni fuoristrada che vedete e urlare: “Guarda mamma una Jeep!” o peggio: “Che Gippone!”. Io vi odio.

Sempre Wikipedia:

Questo mezzo fece la sua prima apparizione nel 1940, con il primo prototipo presentato dalla Bantam Car Company, il cui modello aprì la strada ai veicoli successivamente presentati dalla Willys e dalla Ford. Il bando venne vinto dalla Willys con la MB, ma data la necessità dell’esercito di avere un grande quantitativo di mezzi, fu richiamata la Ford che ne costruì una versione identica su licenza, la GPW (acronimo di General Purpose Willys).

Il nome Jeep deriva dall’acronimo del nome militare General Purpose Vehicle (veicolo per uso generale), pronunciato dagli statunitensi appunto Jeep.

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Rollerblade
Quante volte ci siamo sbucciati un ginocchio sui Roller?
Quanti “Ciao mamma, vado a fare un giro coi Roller!” abbiamo urlato?
Quante volte abbiamo chiesto a Babbo Natale i nuovi Rollerblade, ma in realtà volevamo i Roces, e il vecchio rincoglionito non ci ha capito più un cazzo portandoci un paio di schettini Fisher-Price?
Ecco, la colpa è solo nostra, ce lo siamo meritato. Perché, manco a dirlo, la Rollerblade è l’azienda, nata negli anni ottanta in Minnesota e passata poi in mani italiane, che ha inventato i pattini in linea per consentire agli atleti di hockey di allenarsi anche senza ghiaccio.

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Ping-Pong
E niente, qui ci cospargiamo tutti il capo di cenere perché, lo giuriamo, nemmeno il povero Forrest Gump aveva idea che Ping-Pong fosse un marchio registrato.
Lo sport, di per sé, si chiama tennistavolo, perché la fantasia è un bene di lusso in certi casi, e nasce nella seconda metà dell’800 come surrogato del tennis nei circoli dell’alta società inglese. Poi oh, sto giochino prende piede e vari produttori iniziano a mettere in commercio i loro kit per il tennis da tavolo. Indovinate come si chiamava quello più famoso?

Wikipedia ci dice che:

Il Ping Pong nel 1900 era divenuto un marchio registrato dai fratelli Hamley insieme a John Jaques, gli stessi quindi imposero le proprie regole ed attrezzature, insieme ai fratelli Parker, che acquistarono i diritti del marchio per la commercializzazione negli Stati Uniti d’America.

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Kleenex e Scottex
Intramontabili partner di milioni di adolescenti che, a quanto pare, a un certo punto della loro vita iniziano ad avere raffreddori notturni cronici e sono costretti a tenersi scatole di fazzoletti sul comodino. Amici di tutte le casalinghe che riparano ai danni del gatto in un lampo grazie ai loro rotoloni di carta assorbente.

Quando ti serve un pezzo di carta chiedi al volo un Kleenex o un pezzo di Scottex, a prescindere dal fatto che poi, per accogliere il tuo muco virulento, ti accontenti dei fazzolettini dell’Esselunga. I signori della Kimberly-Clark Corp. questo lo sanno e gli fa pure molto piacere sapere che i loro prodotti sono diventati i prodotti cartacei usa e getta per antonomasia.

Kleenex?

Kleenex?

 

 

Tupperware
“Ti ho lasciato gli avanzi della parmigiana di ieri nel Tupperware blu, in fondo al frigo!”
Siamo certi che vostra madre ve l’abbia detto centinaia di volte. Se il contenitore per cibi a cui si riferiva non era propriamente prodotta dal brand Tupperware però, vostra madre è una mentirosa. Siamo certi che il signor Earl Silas Tupper si stia rivoltando nella tomba.

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Questo yogurt è andato a male? In realtà è maionese.

Post-It
Anche qui, lo dobbiamo ammettere, siamo tutti colpevoli.
Si tratta di un altro marchio registrato della 3M, che dimostra di spaccare il culo ai passeri in quanto a memorabilità dei suoi prodotti, e crea l’ennesimo benchmark, questa volta nel settore dei bloc-notes a fogli semi-adesivi. Certo, suona molto meglio “Mi passi un Post-it?” di “Mi passi un biglietto semi-adesivo che devo appuntarmi la ricetta della torta di zola e unghie?”

Fatto strano, quando negli anni 60 hanno inventato i Post-it, stavano cercando la formula per un adesivo super potente. E se ne sono usciti con quella mezzasega della colla dei Post-it. Molto bravi.

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Formica
E badate bene, parliamo della Fòrmica, non della formìca, che come sapete tutti è un insetto imenottero. La Fòrmica è un laminato plastico usato nel settore manifatturiero del mobile e dell’arredamento per rivestire quelle poracciate dei pannelli in truciolare o MDF.

Prende il nome dalla Formica Corporation, che all’inizio del 900 gettò le basi per tutti i mobiletti IKEA che avete in casa.

Chi ha detto formìca?

Chi ha detto formìca?

Jacuzzi
Emblema del lusso, dell’opulenza e della raffinatezza tipica dei motel tematici di provincia, la vasca idromassaggio per eccellenza è la Jacuzzi. Ma forse sapevate già anche questo. Jacuzzi è il cognome dei fratelli Friulani che negli anni 50 inventano la prima pompa di irrigazione per vasca da bagno, primo passo per il prodotto di maggior successo dell’azienda: La “Roman Bath”, commercializzata dal 1968 come prima vasca idromassaggio al mondo.
Le cosacce (minimo) a tre condite da vodka, coca e mignotte che tanto sono care ai gangster dei vostri film anni 80 preferiti sarebbero molto meno divertenti senza i signori Jacuzzi. Se poi la smettessimo di chiamare col loro nome qualsiasi vasca idromassaggio, sarebbe anche meglio.

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Velcro
Se a cinque anni potevate allacciarvi le scarpe “a X”, senza dover per forza imparare a fare i nodi dei grandi, lo dovete a un uomo che si chiamava Georges de Mestral, che nel 1941 inventò il metodo di chiusura preferito da tutti i poppanti del mondo. Nel 1955 il buon Georges brevettò la sua invenzione col nome commerciale di Velcro: un acronimo che nasce alle iniziali di VELours (velluto) e CROchet (gancio).

A questo proposito Santa Wikipedia da Internet ci dice:

Arrivato a casa si accorse di avere dei minuscoli fiori rossi (fiori di bardana) attaccati alla giacca. Colto dalla curiosità, li analizzò al microscopio e scoprì che erano fiori che sul calice avevano degli uncini, che permettevano la loro diffusione incastrandosi ovunque, anche nelle anse formate dai peli del tessuto della giacca.

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I’d like to be in a Nemo’s Garden in the shade

Succede, certe volte, che le persone abbiano idee geniali semplicemente prendendo spunto da una passione.

Succede, un giorno di circa tre anni fa, che Sergio Gamberini passi le sue vacanze a Noli e se ne esca con una trovata tanto stravagante quanto acuta: Nemo’s Garden.
Una serra qualche metro sott’acqua.

Ora voi vi starete dicendo:
“Beh, ma è geniale! In fondo le piante hanno bisogno solo di un paio di cose:
Luce, acqua e aria buona. Poi oh, di acqua, nel mare, ce n’è un casino…”

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Eppure c’è qualcosa che…

Ecco, per buona pace di tutti c’è da dire che Sergio è uno di quelli col mare dentro. Tutto ciò che ha a che fare col mare ha un posto speciale nel suo cuore, al punto che il mare è il suo lavoro: Sergio infatti è il presidente di Ocean Reef Group, gruppo specializzato nella produzione di attrezzature subbaqque con cui ha deciso di sviluppare la sua idea.

E allora bingo! Ecco la soluzione:

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Quindi, visto che a quanto pare il buon Sergio è uno che non riescie a star fermo un attimo, nemmeno in vacanza, prende su il suo bel cellulare, riunisce il suo team di fiducia
e inizia a sviluppare palloni, sistemi di ancoraggio, serre, vasetti e affini.
A me piace immaginarli così:

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Ma con la muta.

Bene, sott’acqua la temperatura è costante, la traspirazione delle piante fornisce loro acqua dolce e non ci sono insettazzi a rompere i co… I meloni.

E nulla, dopo un paio d’anni di studi, live streaming sottomarino a fissare quattro piantine di basilico, maremoti, trombe d’aria e tantissimi progetti, nel 2015 il progetto viene a galla. Cioè no. Vabbè avete capito. Questi ragazzi han fatto una figata.

Potete trovare Nemo’s Garden qui -> http://www.nemosgarden.com/

Ci sono lo streaming, dei video che vi raccontano il progetto mooolto meglio di quanto abbia fatto Springmachine e un sacco di belle sezioni in costruzione.

Qui abbiamo già l’erogatore in bocca e il gav gonfio, e non vediamo l’ora di saperne di più e magari di andare a visitare quelle piantine subbaqque, che come dicevano i Beatles:

We would be warm below the storm
in our little hideaway beneath the waves
resting our head on the sea bed
in a Nemo’s Garden near a cave.

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Key West Sunset Celebration

Gli Stati Uniti sono un paese grande e particolare, non ci sono dubbi. E Key West, l’ultima delle isole Keys, nonché il punto più meridionale degli Stati Uniti continentali, detiene uno dei picchi di particolarità degli interi USA. Per arrivare a Key West, che per la cronaca è più vicina a Cuba che a Miami, si prende la U.S. Route 1 e la si percorre fino in fondo, fino alla fine. E la maggior parte di questa strada si fa nel bel mezzo dell’oceano, su lunghi ponti che collegano la terraferma alle isole, da Key Largo a Key West, passando per Plantation Key, Key Colony, Summerland Key e Key Cazzosenefrega, direte voi a un certo punto. E avete ragione, stiamo divagando, scusate. Eccovi una Gif anni 80 per scusarci.

Noi di Springmachine mentre rincorriamo il tramonto verso Key West.

Noi di Springmachine mentre rincorriamo il tramonto verso Key West.

Fatto sta che tutte le sere, un paio d’ore prima che il sole si spenga dento le acque della Florida Bay, una marea di gente si riversa a Mallory Square Dock, a Key West, per applaudire saltimbanchi, maghi e mangiafuoco, mangiare Key Lime Pie (n.d.r la torta più buona che potrete mai assaggiare), bere smoothies e naturalmente salutare il tramonto.

Noi di Springmachine che consumiamo con classe una porzione di Key Lime Pie.

Noi di Springmachine che consumiamo con classe una porzione di Key Lime Pie.

In quest’orgia di turisti, vecchi lupi di mare locali e anziane cantanti country stonate come gabbiani ubriachi, il sole scende a vista d’occhio e il tempo sembra fermarsi. La Sunset Celebration è una di quelle pazze esperienze di massa che vi porterà a desiderare di non tornare più a casa. In fondo, una stanza nella casa museo di Ernest Hemingway magari ve l’affittano pure.

Vabbè Ernesto, se è una cosa personale però diciamolo eh...

Vabbè Ernesto, se è una cosa personale però diciamolo eh…

E mentre siete persi nei vostri sogni lisergici di amore universale e immaginate di abbracciare il sole mentre se ne va da qualche parte in Oriente, e una vecchia hippy ubriacona violenta dei classici blues alle vostre spalle, dopo averle dato un paio di dollari nella speranza che smetta e vada a casa, l’unica cosa che dovrete fare è andare da OJ Dave e farvi dare uno smoothie ai frutti tropicali.

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Il vecchio Dave, che si vanta di offrire il “….best squeeze in the Florida Keys” è un canuto signore con occhiali da sole e baffi che dal 1977 spreme, centrifuga e sminuzza ogni tipo di frutto tropicale vi venga in mente. E se proprio volete uno dei capolavori di OJ ma non avete contanti andate tranquilli, Dave ha il pos, come un vero keywestino imbruttito. Chi se la ricorda questa?

De André Vs. TV Heroes

Oggi utilizziamo il mezzo pubblico per un fine privato.

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Un po’ perchè non abbiamo molto tempo per un post vero, un po’ perchè questo lavoro ci piace, e un po’ perchè per un certo periodo chi vi scrive è stato ossessionato da “Non al denaro non all’amore né al cielo” di Fabrizio De André.
C’era qualcosa di incredibilmente affascinante e allo stesso tempo spaventoso in quelle storie. Ogni canzone era da masticare e digerire piano, accettando la fine mesta di ogni protagonista. E a un certo punto, in ogni canzone saltavano fuori citazioni e riferimenti al mondo del cinema, della TV e dei fumetti. Alle storie di quando eravamo dei nani divorastorie insomma. Per questo, a molte delle canzoni dell’album di Faber ispirato all’Antologia di Spoon River, abbiamo affiancato i personaggi e i mondi che ci riportavano alla memoria.
Questo lavoro non vuole essere una parodia. È invece il frutto del tempo passato ad ascoltare le storie cantate in questo disco. Un tentativo di legare due mondi, l’infanzia e la morte, per rendere meno spaventoso il fatto che un giorno saremo solo un corpo tra i tanti a dar fosforo all’aria

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STAY WITH ME BEAUTIFUL WORDS

Premessa: se oggi mi leggete un po’ così, un po’ distratto, non ci fate caso.
Perché, come si dice… Non mi andava di fare un cazzo.

Quindi ho semplicemente scritto una lista di parole che mi piacciono, di quelle che ti riempiono la bocca e ti fanno sembrare intelligente ed erudito mentre favelli.
Le trovate, in ordine sparso e corredate dal loro bel significato offerto dal signor Treccani, di seguito.

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Le parole sono importanti!

Affabulatorio | agg. [der. di affabulare], letter. – Che si serve dell’affabulazione per narrare, rappresentare scenicamente e sim.: racconti pervasi da una vena fantastica e affabulatoria.

Norrèno | agg. [dal nordico norron «settentrionale»]. – Detto della lingua e della letteratura dei Norvegesi (sia nella madrepatria sia nelle colonie d’occidente, soprattutto nell’Islanda), dal sec. 9° circa, ossia dall’età vichinga, fino alla metà del sec. 14°. La letteratura norrena, che qualitativamente primeggia tra le germaniche antiche, ha creato i generi letterari del carme eddico, del carme scaldico e della saga, e ci ha tramandato, nelle forme più antiche, le leggende germaniche (a cominciare dalle nibelungiche), permettendoci di conoscere la mitologia, la religione, la vita dell’antico mondo germanico al culmine del suo sviluppo storico e alla vigilia del passaggio al cristianesimo.

Tricotomìa1 | s. f. [comp. di trico- e -tomia]. – Nel linguaggio medico, la rasatura di peli o capelli su un’area cutanea che debba essere sottoposta a medicazione o sutura per una ferita, o che sia sede di un intervento chirurgico; t. perineale, quella che viene sistematicamente eseguita, in ambiente ospedaliero, sulle partorienti, per agevolare l’antisepsi e il trattamento di eventuali lacerazioni.

oppure:

Tricotomìa2 s. f. [comp. del gr. τρίχα «in tre parti» e -tomia, sul modello di dicotomia; cfr. gr. τριχοτομέω «tagliare in tre parti»]. – Divisione in tre parti, in tre sezioni o elementi.

Ignìfugo | agg. [comp. del lat. ignis «fuoco» e –fugo] (pl. m. –ghi). – Di sostanza (miscele di borace e acido borico, fosfati acidi) usata per impedire o limitare la combustione di un materiale di facile accensione (legno, carta, tessuti). Anche come s. m.: un ignifugo.

Fonoassorènte | agg. [comp. di fono– e assorbente]. – Nelle costruzioni, detto di materiale o struttura adatta ad assorbire l’energia sonora (sinon. di assorbente o isolante acustico): pannelli f., collocati lungo i viadotti stradali.

Mefistofèlico | agg. (pl. m. –ci). – Che è proprio di Mefistofele; maligno, perfido, diabolico: volto m.; espressione m.; o sarcastico, beffardo: riso, sorriso, ghigno mefistofelico. ◆ Avv. mefistofelicaménte, in modo mefistofelico: ridere, ghignare mefistofelicamente.

Gorgonauta | s. m. [comp. di Gorgo e –nauta gr. ναύτης «navigante»] LSerie di soldatini giocattolo immaginaria dal film Small Soldier, creata dall’immaginaria multinazionale statunitense Globotech. Sono pacifiche creature dall’aspetto mostruoso, alla continua ricerca della loro terra perduta.

Gloglottare | v. intr. [voce onomatopeica, cfr. glo glo] (io gloglòtto, ecc.; aus. avere), non com. – Fare glo glo, detto dell’acqua che gorgoglia, dei tacchini, ecc.

Oftàlmico | agg. [dal gr. ὀϕϑαλμικός, der. di ὀϕϑαλμός «occhio»] (pl. m. –ci). – Che riguarda gli occhi o le malattie oculari: pomata o.; disco o., esile placca medicamentosa da introdurre sotto le palpebre e applicare sul bulbo oculare; ospedale, reparto oftalmico. In partic., in anatomia: arteria o., ramo collaterale della carotide interna, destinato al globo oculare; nervo o. (o branca o.), prima branca del trigemino che nell’uomo prende origine dalla parte mediale del ganglio di Gasser; fuoriesce dal cranio attraverso la fessura orbitaria superiore e innerva la ghiandola lacrimale, i tegumenti della regione frontale, le palpebre, i muscoli ciliari e la regione del naso.

Ribosòmico | agg. [der. di ribosoma] (pl. m. –ci). – In biologia, sinon. di ribosomiale.

E quindi:

Ribosòma | s. m. [comp. di ribo(nucleico) e –soma] (pl. –i). – In biologia, nome di particelle del citoplasma cellulare che possono essere libere nel citoplasma o attaccate al margine esterno del reticolo endoplasmatico, oppure all’interno dei mitocondrî e dei cloroplasti: hanno forma sferoidale e un diametro di circa 200 Å, sono ricche di acido ribonucleico (e da ciò prendono il nome) e sono la sede della sintesi proteica.

Rutilante | agg. [dal lat. rutĭlansantis, part. pres. di rutilare: v. rutilare], letter. – Rosso vivo; più genericam., risplendente: chiome, gemme r.; occhi r.; glauca notte r. d’oro (D’Annunzio); luce piena e r. (Bacchelli).

Picaresco | agg. [dallo spagn. picaresco, der. di pícaro (v. picaro)] (pl. m. –chi). – Relativo a un genere letterario sorto in Spagna nella seconda metà del sec. 16° (il cui prototipo è considerato il romanzo anonimo Lazarillo de Tormes, 1554) e diffusosi poi nel resto d’Europa, caratterizzato dalla descrizione delle avventure dei picari, popolani furbi, imbroglioni e privi di scrupoli: letteratura p.; romanzo p.; novelle picaresche. Anche, che ricorda o rispecchia l’atmosfera, le situazioni, le trame tipiche di tale genere letterario: avventure p.; un gusto p. per il rischio.

Mandrino | s. m. [dal fr. mandrin; cfr. provenz. mandre, ant. «giogo della bilancia», mod. «manovella»]. – In tecnologia meccanica, l’albero della macchina utènsile sul quale si monta il pezzo in lavorazione (oppure l’utensìle quando il pezzo è fisso).

Tramòggia | s. f. [lat. trimŏdia «recipiente che contiene tre moggi», comp. di tri- «tre» e mŏdius «moggio»] (pl. –ge, raro –gie). – Apparecchio utilizzato per facilitare lo scarico, per gravità, di materiali sciolti, in polvere o in piccole pezzature, costituito nella forma più semplice da un recipiente a forma di tronco di piramide o di cono, con base minore in basso munita di un’apertura (bocca) chiusa da un portellino: trova applicazione in alcune macchine operatrici quali trafile e presse, nei gasogeni, nei silos per minerali e cereali, ecc.

Google, Vol. 1 | A Google Images Dictionary

Rieccoci con un progetto fresco fresco! Sempre che viviate ancora nel 2012, s’intende.

Questa volta parliamo di uno dei libri d’arredamento slash opera d’arte slash concept book più interessanti dell’anno (sempre il 2012 eh…).

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Trattasi, nello specifico, di un dizionario per immagini redatto utilizzando solo foto trovate sul famoso motore di ricerca mmeregano Gùgel. I due autori (questa volta inglesi) Felix Heyes e Ben West hanno pensato di togliere le parole che, si sa, in un dizionario non servono a una cippa, per sostituirle con la prima immagine pervenuta durante la ricerca del termine preso in esame, su Gùgel appunto.

Un esempio per il nostro lettore meno attento:
Se per assurdo volessimo creare il nostro dizionario per immagini, e cercassimo la parola, a caso eh, “Pompa” la prima immagine uscita dalla ricerca finirebbe nel vocabolario. Nello specifico, nel dizionario per immagini di Springmachine, dovremo inserire questa.

Se avete pensato male siete brutta gente.

Se avete pensato male siete brutta gente.

Ad ogni modo, questo mattone di oltre 1300 pagine di immagini di stock, zozzerie e riferimenti più o meno casuali si trova in  vendita online qui.

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(via: lo splendido frizzifrizzi.it)

The Sgorbions Grew Up

La storia inizia con due amici, Jake Houvenagle e Brandon Voges, che un giorno se ne escono con una domanda esistenziale e una conseguente idea geniale:

“Te li ricordi i Garbage Pail Kids? Chissà che caz…spita di fine avranno fatto?”

e:

“Boh, se fossimo delle brave persone dovremmo creare una serie fotografica sui nostri vecchi beniamini, 30 anni dopo.”

Ora, siamo sicuri che sia andata più o meno così. E se anche voi vi state facendo una domanda e casualmente quella domanda è: “Chi cazzo sono sti Garbage Pail Kids?” vi illumineremo con piacere.

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Loro, sono loro.

In Italia chi ha più o meno 30 anni li chiamava Sgorbions e collezionava le loro figurine di nascosto dalla mamma. Gli Sgorbions erano dei personaggi trash-demenziali, prodotti dalla ToppsCompany e rilasciati per la prima volta nel 1985. Nascevano come una parodia dei Cabbage Patch Kids, quella serie di bambolotti osceni cresciuti sotto foglie di cavolo, però più putridi e fetidi dei pantaloncini di Nicko McBrain dopo il Rock in Rio.

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“Non porto nemmeno i boxer!”

Tutti questi particolari noi li sappiamo perché c’è Wikipedia, non pensate male.
Piuttosto guardatevi come sono cresciuti Adam Bomb, Barfin Barbara e amici, aspettando che Jake e Brandon ci regalino anche le versioni adulte dei loro cugini italiani Matteo Cappereo, Marcello Sbudello e Lorenzo Fetenzo.

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Photographer W. Brandon Voges (Bruton Stroube Studios) Concept Jake Houvenangle Retouching Jordan Guance (Bruton Stroube Studios) Producers Tony Biaggne, Matt Siemer and Sherry Tennil (Bruton Stroube Studios) Assistants Steve Eschner (Bruton Stroube Studios) Mandi Kohlmeier (Bruton Stroube Studios) Stacy Collier Hair/Makeup Julie Dietrich (Talent Plus) Priscilla Case (Talent Plus) Props/Wardrobe Cathy Rauch (Bruton Stroube Studios) Food/Barf Styling Cathy Chipley (Bruton Stroube Studios) Set Builder/Rigging Bill Stults (Bruton Stroube Studios)

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(via: Juxtapoz.com)